venerdì 17 settembre 2010

Less is more

Da Repubblica.it: Gli italiani che vivono gratis al mercato del no cost

Oggi su Repubblica è apparso questo interessante articolo che parla della possibilità di vivere con "meno" attraverso lo scambio e il riutilizzo dei beni.
Anche se l'argomento non è nuovo, in realtà la sorpresa sta nello scoprire che il numero di persone nauseate dallo stile di vita occidentale, dagli sprechi, dagli orpelli non necessari con i quali infarciamo la nostra quotidianità, è in costante crescita.


La filosofia di base è molto condivisibile, il concetto di svincolare i beni dal loro prezzo, togliendo così automaticamente potere al denaro, ha le sue ragioni etiche ed anche un risvolto ecologico non da poco. In passato abbiamo già assistito ad esempi quali la Banca del Tempo, nata molti anni fa, dove le persone possono mettere a disposizione degli altri ore del proprio tempo per fornire servizi in cui sono particolarmente abili, baby sitting, cucina, pulizie, per ottenere in cambio servizi di cui hanno bisogno.
Oppure ancora il "couch surfing", siti internet dove si possono si possono mettere a disposizione le proprie case (nello specifico, il proprio divano) a turisti in visita nella propria città per poi avvalersi della stessa forma di ospitalità a casa di qualcun'altro.
In effetti, il titolo del post, che prende in prestito una famosa frase da Mies van der Rohe (architetto e designer tedesco), "meno è più", ha del vero, e spesso, spogliandosi del superfluo, si riesce a cogliere la vera essenza delle cose.
In pratica, però, è più facile a dirsi che a farsi. Personalmente condivido in pieno gran parte delle teorie, ma metterle in pratica nella vita quotidiana può rivelarsi un impegno quasi a tempo pieno; pensare ad una conversione, anche solo parziale, a questo tipo di filosofia, comporta sicuramente un investimento di tempo iniziale notevole.
Ora, io non so voi, ma a me non avanza neanche il tempo per limarmi le unghie, figuriamoci per una conversione di vita!
Allo stesso tempo, troppo facilmente questo diventa un alibi per non fare nulla, per lasciare condurre le nostre vite dal denaro e dai bisogni da esso indotti, senza piccole soste di riflessione su quanto veramente ci abbisogna e quanto invece sia legato al desiderio di "status" e al riempire i nostri vuoti esistenziali con "cose".
Possiamo veramente pensare di tornare indietro al tempo del baratto, dello scambio di servizi, senza il condizionamento del dio denaro? Io francamente non credo; l'edonismo dei tempi moderni, ossia la ricerca del piacere immediato, è oramai parte di noi, intride le nostre vite a tal punto da farmi dubitare la possibilità concreta di uno "U-turn".
I vari antopologi citati sembrano essere invece ottimisti, anzi, per alcuni, come Alberto Salza, questo sarà un passo necessario nella nostra evoluzione.Io penso che si potrebbe invece aspirare ad una sorta di ottimizzazione delle risorse personali e familiari, il cumularsi di tante piccole azioni, un incredibile potenziale inespresso. Basterebbe ricordarsi il concetto di "comunità" e riportare in auge certi valori delle società rurali messi a tacere negli ultimi decenni dalla roboante vita cittadina, con i suoi tempi incalzanti. Aiutarsi nell'accudire i figli, scambiarsi vestiti usati, andare incontro a chi è in difficoltà. Insomma, le basi stesse della vita in società, che facilmente dimentichiamo mentre corriamo da un appuntamento all'altro e cerchiamo nel frattempo di crescere i nostri figli, sperando di consegnare loro un mondo migliore (ma sapendo in cuor nostro che così non sarà).
Certo, l'idea è veramente affascinante, in un certo senso anche liberatoria, se pensiamo alla pressione a cui siamo costantemente sottoposti per poter continuare ad acquistare e, quindi, ad autoalimentare l'economia; non resta che stare a vedere se veramente saremo costretti ad intraprendere questa strada. Malignamente, scusatemi, sono convinta che solo così si avrà una vera conversione di massa, invece che una tendenza, alla fine, di nicchia.

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